La Siria di Zerocalcare
Con “Ferro e piume” Zerocalcare dà un seguito ideale a “Kobane calling”, tornando a raccontare su Internazionale la drammatica situazione siriana senza mai rinunciare al suo stile.
Mentre gira l’Italia per presentare il suo ultimo lavoro, “L’elenco telefonico degli accolli” (Bao Publishing), Zerocalcare continua a stupire. E lo fa con una storia breve pubblicata su Internazionale: una storia intitolata “Ferro e piume”, che racconta un episodio della guerra in Siria dall’insolito punto di vista del fumettista di Rebibbia.
Insolito per chi lo segue regolarmente, abituato a tematiche ben più leggere e al contesto familiare della periferia romana, ma ancora di più per chi non conosce o conosce poco Zerocalcare, che si avvicina a un argomento difficile come la resistenza curda in Siria senza rinunciare al suo carico di umorismo e ironia.
Proprio così: in “Ferro e piume” Michele Rech riprende il suo racconto di viaggio cominciato con “Kobane calling” (pubblicato a gennaio 2015 sempre su Internazionale), scegliendo questa volta di soffermarsi su una singola tappa del tragitto tra Qamishlo e la capitale del Kurdistan siriano.
In un luogo imprecisato lungo il percorso i compagni di viaggio del fumettista – attivisti dell’associazione Rojava Calling – decidono di fermarsi per conoscere una persona alla quale i combattenti curdi sembrano tenere particolarmente. Si tratta di Nasrin, comandante dell’Unità di protezione delle donne del Rojava (YPG), che si presenta con l’aspetto mite di una giovane donna con gli occhiali.
Con il procedere della narrazione però emerge tutta la sue fermezza, la determinazione a difendere una terra e un popolo che la rendono così stimata tra la sua gente. Nasrin racconta la sua storia, mostra a Zerocalcare e ai suoi compagni i luoghi dell’orrore e della sofferenza del popolo curdo, che in Siria si ritrova schiacciato tra l’ostilità turca a nord e l’avanzata dello Stato Islamico a sud.
La particolarità di questo racconto sta proprio nel modo in cui la figura di Nasrin emerge dal contesto che la circonda: per la sua calma apparente in uno scenario di lotta disperata per la vita, e soprattutto per la forza dei suoi principi e della sua umanità sullo sfondo dello stile dissacrante e disilluso con cui Zerocalcare è solito narrare il mondo che lo circonda.
La stessa presa di contatto tra il “personaggio” Zerocalcare e la “persona” Nasrin, con la sua carica drammatica di realtà, produce un effetto straniante ma profondamente efficace, perché permette ai lettori di immedesimarsi nello sguardo di Michele Rech, che proprio sulla sua “normalità” e comunanza di atteggiamenti e interessi con tanti ragazzi della sua generazione ha creato l’alter ego Zerocalcare, a partire da una solida base autobiografica. Quei ragazzi che sono i suoi lettori più affezionati, e che grazie a questa storia hanno l’opportunità di fare un passo avanti nella conoscenza di una vicenda che magari finora li aveva interessati solo marginalmente.
Tra una battuta e l’altra, con uno stile forse lontano dai canoni del graphic journalism ma senza troppi giri di parole, il fumettista racconta una situazione geopolitica complessa, offre una testimonianza umana sincera e immediata, racconta l’inaspettata parità di genere tra i combattenti della resistenza, testimonia la sofferenza che accomuna arabi e curdi nel cimitero dei martiri della città di Derik.
Il racconto di Zerocalcare si conclude con un breve momento di allegria: una foto di gruppo accanto a un antico ponte romano, che rappresenta al contempo un sorprendente legame tra i presenti e il simbolo dell’amore per la propria terra che anima la resistenza curda. Il senso di una battaglia e le sue implicazioni: nei giorni di elezioni mai così drammatiche nella vicina Turchia, un messaggio da tenere ben chiaro in mente.
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