Luca Rasponi

Giornalista e addetto stampa, scrivo per lavoro e per passione.

Elogio della letteratura fantastica: lunga vita al fantasy

22 ottobre 2013

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Elfi, maghi, dame e cavalieri. Ma anche draghi, orchi e Signori Oscuri. Chi non ha mai letto o ascoltato una favola con protagonisti questi personaggi? Ebbene, le classiche fiabe per bambini hanno anche un fratello maggiore, un genere letterario vero e proprio che va sotto il nome di fantasy, e che insieme all’horror e alla fantascienza costituisce il nucleo principale della letteratura fantastica.

Rispetto ai due generi appena citati, il fantasy può vantare attualmente uno stato di salute assai più florido: da quindici anni a questa parte, infatti, si è assistito alla sua rinascita grazie al successo di nuove saghe fantastiche e alla trasposizione cinematografica di alcuni classici senza tempo.

Tutto comincia però a metà del XIX secolo: più giovane rispetto all’horror e alla fantascienza, il fantasy è comunque protagonista una storia ultra secolare. Le fonti d’ispirazione che hanno portato all’affermazione del nuovo genere sono le più disparate: dalle numerose mitologie del mondo alle tradizioni teologiche e religiose, dalle leggende popolari al romanzo cavalleresco fino alla narrazione fiabesca più o meno antica, europea e non solo.

Il fantasy moderno, spiega Wikipedia, si differenzia da romanzi e racconti d’invenzione comparsi prima dell’Ottocento per tre principali aspetti: le nuove storie sono ambientate in mondi completamente fantastici e diversi dal nostro; l’autore è creatore consapevole di un racconto di fantasia, non un narratore di fatti ritenuti verosimili dalla superstizione, come accadeva in precedenza; pur attingendo alle medesime fonti d’ispirazione, universi e cicli narrativi vengono creati ex novo, dotati di autonomia e dignità proprie invece di essere semplici estensioni del folklore popolare.

La maturazione di queste tre caratteristiche si deve, ancora una volta, alla sensibilità romantica e allo sviluppo del racconto gotico. Proprio negli anni in cui esso produce le sue opere migliori, infatti, alcuni autori si allontanano dal solco principale del genere – che di lì a poco avrebbe portato alla nascita dell’horror moderno – e invece di puntare su atmosfere inquietanti e paurose scelgono di valorizzare la dimensione più marcatamente fantasiosa del racconto.

Privo anche degli elementi tecnici e tecnologici che vanno a caratterizzare – più o meno nello stesso periodo – la neonata fantascienza, già dai suoi albori il fantasy si sviluppa su due binari principali. Da un lato, lo scrittore scozzese George MacDonald inaugura il filone “fiabesco” del nuovo genere, in particolare con Le fate dell’ombra (1858, Phantastes in originale), considerato il primo romanzo fantasy nella storia della letteratura, che porta significativamente il sottotitolo A faerie romance for men and women.

Mentre MacDonald si conferma anello di congiunzione tra il mondo delle fiabe e la nascente letteratura fantasy con La principessa e il goblin (1872), l’inglese William Morris pubblica una serie di pionieristici romanzi che saranno tra le principali fonti d’ispirazione per il fantasy “epico” di ambientazione medievale nei decenni a venire.

I suoi La fonte ai confini del mondo (1892) e Il bosco oltre il mondo (1895), infatti, sono i primi romanzi ad essere ambientati in mondi completamente fantastici, basati sulla nostra epoca medievale ma del tutto alternativi rispetto alla realtà storica. La scelta di ricorrere alla storia e alla letteratura medievali come fonti per la narrazione di fantasia – che influenza anche il linguaggio utilizzato dall’autore – è ancora più evidente nel romanzo La casata degli Wolfling e nel seguito Le radici delle montagne (entrambi del 1889), meno innovativi sul piano dell’invenzione fantastica ma altrettanto decisivi per la capacità di ispirare gli autori del secolo successivo.

Nei primi anni del Novecento, solo Lord Dunsany  – Edward Plunkett all’anagrafe – sembra in grado di portare avanti il discorso iniziato da Morris con le opere pionieristiche del decennio precedente. Mentre lo scrittore inglese eleva il fantasy al rango di mitologia, con opere che influenzeranno innumerevoli autori (tra cui H.P. Lovecraft e i suoi Miti di Cthulhu), il genere riesce infatti a raggiungere il grande pubblico solo con i racconti destinati ai bambini, che arrivano a coinvolgere nuove forme artistiche nella crescita del fantasy.

Già nell’Ottocento il filone inaugurato da MacDonald si era arricchito con i capolavori di Lewis Carrol Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie (1865) e il seguito Attraverso lo specchio (1871). Ma l’inizio del XX secolo non è da meno con Il meraviglioso mago di Oz, di Lyman Frank Baum (pubblicato nel 1900 e trasformato due anni dopo in uno spettacolo di grandissimo successo a Broadway) e Peter Pan di James Matthew Barrie (1911), tratto da una sceneggiatura teatrale realizzata sette anni prima dallo stesso autore.

A dare un contributo decisivo alla nascita del fantasy moderno è ancora una volta la stagione dei pulp magazines, che tra le due guerre ospitano i racconti di alcuni tra i principali protagonisti nell’affermazione del nuovo genere. Tra i titoli delle riviste che invadono le edicole americane spicca Weird Tales, pubblicata a partire dal 1923. È proprio questa testata a pubblicare le opere più note e importanti di un autore decisivo per le sorti del fantasy: Robert Ervin Howard.

Scrittore eclettico in grado di spaziare tra i generi più vari del fantastico, Howard dà il meglio di sé con la narrativa fantasy e in particolare con una serie di racconti che tra il 1932 e il 1936 lanciano il personaggio di Conan il Barbaro. Le gesta del Cimmero inaugurano infatti il filone dello sword & sorcery o heroic fantasy, caratterizzato da trame con protagonista un eroe che deve raggiungere il proprio obiettivo tra violente battaglie e potenti magie.

In quegli stessi anni vede la luce anche un piccolo romanzo che pone le basi per la più grande saga fantasy di tutti i tempi: è Lo Hobbit di John Ronald Reuel Tolkien (1937), un racconto fiabesco per bambini ambientato nell’immaginaria Terra di Mezzo. L’importanza della vicenda con protagonista Bilbo Baggins va ben oltre il ciclo di Tolkien, dal momento che Lo Hobbit è la sintesi moderna del concetto di quest, ovvero l’avventura di un gruppo di eroi alla ricerca di un tesoro custodito da un mostro. Una struttura narrativa che sarà fonte d’ispirazione costante per tutto il fantasy successivo, dalla letteratura al cinema, dal videogame al gioco di ruolo.

Ma è con il suo romanzo successivo che Tolkien segna realmente le sorti della letteratura fantasy: uscito in tre parti tra il 1954 e il 1955 come seguito dello Hobbit, Il Signore degli Anelli è un’opera monumentale che rende pienamente giustizia all’accurato lavoro del Professore, realizzato nel solco tracciato da William Morris nel XIX secolo. Medievalista e filologo, ispirandosi alle tradizioni religiose e alle leggende popolari Tolkien crea un mondo coerente e dettagliato con lingue, calendari, popoli e geografia, con l’obiettivo di dar vita a un vero e proprio corpus mitologico per l’amata Inghilterra.

Completato con Il Silmarillion (1977), che narra le mitiche vicende delle Ere precedenti allo Hobbit e al Signore degli Anelli, il legendarium tolkeniano inaugura il filone dell’high fantasy, un racconto epico di ampio respiro che non si limita a seguire il destino dei suoi protagonisti, ma narra le sorti dell’intero mondo entro il quale si svolge. Esempi illustri dello stesso filone sono le saghe di Earthsea (1968-2001, di Ursula K. Le Guin) e Shannara (di Terry Brooks, ancora in corso dal 1977).

Se è vero che nella storia della letteratura esiste un prima e un dopo Tolkien – Il Signore degli Anelli è stato definito il libro del XX secolo – non tutti gli autori hanno seguito la strada del fantasy epico. Proprio negli anni in cui vede la luce il capolavoro dello scrittore inglese, infatti, C.S. Lewis – nord irlandese e grande amico dello stesso Tolkien – pubblica Le cronache di Narnia, saga in sette volumi usciti tra il 1950 e il 1956 che prosegue la tradizione del fantasy fiabesco inaugurata da George MacDonald.

Una tradizione rifiorita con decisione in anni recenti, con il successo planetario di Harry Potter (protagonista dei romanzi dell’autrice inglese J.K. Rowling) e dei suoi numerosi epigoni. Mentre il genere sword & sorcery non sembra in grado di produrre opere di rilievo, il fantasy epico è anch’esso protagonista di un’ottima stagione, grazie soprattutto alla saga Le cronache del ghiaccio e del fuoco dell’americano George R.R. Martin. Gli adattamenti televisivi e cinematografici delle opere di Tolkien, Lewis, Rowling e Martin hanno fatto il resto, producendo all’alba del XXI secolo un boom del fantasy che non accenna a fermarsi.

Lunga vita al fantasy, dunque. Ma come riescono questi racconti, insieme all’horror e alla fantascienza, ad affascinare i lettori a decenni o addirittura secoli di distanza dalla loro scrittura? Forse perché la letteratura fantastica, con personaggi immaginifici e mondi immaginari, non è altro che il miglior specchio per guardare la realtà. O forse perché, per dirla con G.K. Chesterton, «le fiabe sono più che vere: non solo perché dicono che i draghi esistono, ma perché affermano che possono essere sconfitti».

 

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