De Chirico in mostra a Ferrara tra Metafisica e avanguardie
La mostra De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie chiude i battenti domenica 28 febbraio, dopo tre mesi e mezzo di straordinario successo. Inaugurata a novembre dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’esposizione ha fatto registrare numeri da record: 100mila presenze nei primi tre mesi e 7mila visitatori in un singolo fine settimana.
Cifre di questo genere non possono che far riflettere: da un lato con ottimismo per l’interesse che l’arte è ancora in grado di generare nel pubblico italiano. D’altro canto però vale la pena interrogarsi sulle condizioni in cui simili iniziative consentono di ammirare un’opera d’arte, stipati tra bambini scalmanati, anziani disorientati dall’audioguida e cacciatori di selfie ingolositi da irripetibili photo opportunity.
La domanda è semplice: che senso ha guardare distrattamente un’opera d’arte senza la possibilità di contemplarla, con il tempo e il contesto adatti ad “ascoltare” le emozioni che genera in noi? Nella nostra epoca di eventi mediatici ancor prima che culturali, pare difficile – se non impossibile – conciliare l’accessibilità all’arte, la dignità della fruizione e la sostenibilità economica di iniziative come questa.
La mostra di Ferrara non fa eccezione, dalla coda all’ingresso all’affollamento nelle sale. A questo contesto si aggiunge un allestimento che non aiuta ad entrare facilmente in sintonia con l’opera – già di per sé piuttosto difficile – di Giorgio De Chirico. I curatori infatti partono da un intento molto preciso: raccontare il periodo ferrarese del pittore e le sue influenze sulle avanguardie contemporanee e successive.
E lo mettono in atto con una successione modulare di sale tematiche che riescono a trasmettere solo in parte, allo spettatore poco preparato, la storia di De Chirico e la sua personalità artistica, offrendo spunti spesso frammentari e privi di contesto.
Al netto di queste considerazioni, De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie è un’opportunità unica di vedere riunite nella città dove sono state realizzate opere provenienti da musei di tutto il mondo, compresi alcuni capolavori assoluti proprietà di collezionisti privati.
Ammirare Ettore e Andromaca, Il Trovatore, Il Grande Metafisico e Le Muse inquietanti è un’emozione angosciosa, accompagnata dalla consapevolezza di vedere per la prima e probabilmente unica volta nella propria vita opere marchiate a fuoco nell’immaginario collettivo, cercando di intuire il percorso di senso che ha portato l’artista a realizzarle.
Da questo punto di vista, la spiegazione offerta dai curatori è illuminante: l’uomo è condannato a una condizione di precarietà esistenziale che la guerra mette a nudo, costringendolo ad abbandonare ciò che gli è caro, come Ettore che dà l’addio alla moglie Andromaca.
Solo attraverso l’arte l’uomo può arrivare alla comprensione delle mondo: interrogando le Muse, dunque, il Trovatore (cercatore di significato) può trasformarsi nel Grande Metafisico. Ma le Muse sono inquietanti soprattutto in virtù delle risposte che (non) danno, quindi la visione che ne scaturisce non può né potrà mai essere consolatoria.
La guerra, esperienza iniziatica per il De Chirico metafisico, torna come una presenza costante, una persecuzione latente testimoniata dalle cartine geografiche disseminate dall’artista nelle sue opere, mentre la coscienza umana della propria condizione precaria è rappresentata dall’occhio, altro elemento ricorrente della pittura dechirichiana.
Una combinazione, quella tra brutalità del reale e consapevolezza umana, evidentemente insostenibile, che spinge l’artista a cercare risposte nella Metafisica. De Chirico arriva così a costruire la sua simbologia più nota, quella dei manichini senza volto su sfondi indefiniti e angoscianti, in cui gli elementi del paesaggio ferrarese sono inesorabilmente alterati dalla visione metafisica della realtà.
Meritevole anche il lavoro svolto dai curatori sui legami artistici tra De Chirico e i pittori a lui contemporanei e successivi: lo stupore provocato da La condizione umana di Magritte e il magnetismo dei Piaceri illuminati di Dalì si accompagnano alla scoperta che tanti dei temi al centro della poetica surrealista, così come dell’avanguardia del Realismo magico, affondano le loro radici nella Metafisica dechirichiana.
Tanti spunti dunque, dall’influenza su Max Ernst al “dialogo a distanza” con Giorgio Morandi, fino a quel profondo legame umano e artistico con Carlo Carrà grazie alla comune esperienza del sanatorio per traumatizzati dalla guerra, Villa del Seminario, dove i due si conobbero nel 1917 proprio a Ferrara.
E mentre l’amico diventa l’esponente della Metafisica più gradito a pubblico e critica dell’epoca, De Chirico prosegue nell’indagine pittorica e filosofica dell’esistenza. Scavando a fondo, sempre più a fondo, per arrivare infine al nucleo stesso delle cose: e allo spettatore più avveduto, forse, a Ferrara è data la possibilità di sfiorare per un attimo la visione metafisica del mondo di Giorgio De Chirico.
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