Luca Rasponi

Giornalista e addetto stampa, scrivo per lavoro e per passione.

PeaceReporter e il giornalismo partecipativo

25 marzo 2010

Pubblicato su

PeaceReporter e il giornalismo partecipativoTesi di laurea in Informatica applicata al giornalismo.
Relatore prof. Lelio Alfonso – Correlatore prof. Paolo Ferrandi.
Corso di laurea in Giornalismo e cultura editoriale.
Università degli Studi di Parma – Anno accademico 2008/2009.

 

Introduzione

“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”
Eraclito, Sulla natura

L’aforisma di Eraclito ha ormai venticinque secoli. Eppure Internet, più di ogni altra “sostanza mortale” di questo mondo, sembra adattarvisi alla perfezione. La Rete ha nei suoi geni una velocità che non permettere a chi intenda studiarla di concentrarsi troppo a lungo: appena si ha accumulato l’esperienza necessaria ad analizzare a fondo un tema, questo è già superato, reso obsoleto dal sopraggiungere di mutamenti fino ad allora imprevisti. Lo stesso supporto materiale su cui l’umanità fissa la propria esperienza da un millennio a questa parte, la carta stampata, sembra non essere in grado di sostenere il ritmo imposto dal web. Ogni libro che tratta di Internet è già superato al momento della stampa, per diventare irrimediabilmente datato solo qualche mese dopo. Cosa accade quando le frenetiche vicende della Rete si incrociano con il destino di un settore culturale in evoluzione come il giornalismo?

L’impatto non può che essere decisivo. Se c’è una certezza tra gli addetti ai lavori, è che Internet sta cambiando il giornalismo e continuerà a farlo. Il problema è capire come. All’inevitabile scetticismo iniziale sono seguite previsioni catastrofiche, tra cui la fine dei quotidiani cartacei per mano del web. Con il passare degli anni e l’inizio del XXI secolo, la divisione tra apocalittici e integrati1 ha lasciato il posto ad analisi più ragionevoli del rapporto tra giornalismo e Internet. Si è fatta spazio la consapevolezza che probabilmente la carta stampata sopravviverà all’avvento del web com’è sopravvissuta all’affermazione di radio prima e televisione poi, in un percorso di progressiva convergenza mediatica nel segno della multimedialità. Accanto all’aspetto strettamente mediale, la Rete ha però un impatto più profondo, come del resto lo hanno avuto tutti gli altri mezzi di comunicazione in passato, sulla produzione di notizie. Nell’era di Internet non sono più solo i giornalisti a produrre materiale informativo: alle istituzioni tradizionali, che ora possono comunicare direttamente con il pubblico senza passare per l’intermediario-giornale, si è progressivamente aggiunto il pubblico stesso, che grazie alle nuove tecnologie digitali può riversare in Rete le registrazioni dirette della propria esperienza.

Una possibilità resa concreta dal web 2.0, l’insieme di strumenti diffusi su Internet a partire dal nuovo millennio. La seconda generazione della Rete si distingue dalla prima perché permette agli internauti di interagire tra loro e con la fonte di informazione, condividendo opinioni ed esperienze. Il tipico sito web 1.0 è basato su un rapporto emittente-pubblico unidirezionale, non troppo diverso da quello del broadcasting televisivo o radiofonico: una fonte produce informazione che l’audience recepisce con possibilità di feedback limitate o assenti (uno→molti). Con il web 2.0 il rapporto diventa bidirezionale, con la possibilità per il pubblico di replicare, rispondere o commentare ciò che la fonte produce (uno↔molti). Non a caso suona stonato definire audience il “pubblico” di Internet. Anzi, risulta inappropriata persino la parola “pubblico”, perché gli utenti della Rete non sono più uniformati dalle scelte comunicative delle fonti giornalistiche, ma contribuiscono essi stessi a determinare quelle scelte.

Il passo successivo di questa evoluzione è il crollo di ogni barriera distintiva tra fonte e ricevente della comunicazione giornalistica. “Le persone precedentemente note come pubblico” prendono in mano la situazione, diventando newsmakers, in quello che da più parti è stato battezzato giornalismo 2.0. Ma è davvero possibile che gli internauti rubino il taccuino dalle mani dei giornalisti di professione? Il dibattito è aperto: gli alfieri del citizen journalism, “il giornalismo della gente per la gente”, si contrappongono ai sostenitori del giornalismo tradizionale, convinti che non si possa affidare il compito di informare a personale dilettante.

Per quanto effettivamente esista una spaccatura teorica tra questi due modi contrapposti di vedere il giornalismo, l’esperienza pratica ha dimostrato che una dicotomia radicale è fuorviante. Accanto agli esempi più tradizionali di quotidiani online ancora chiusi ai commenti dei lettori, compaiono siti d’informazione interamente realizzati dagli internauti e basati sul controllo reciproco degli iscritti. Ma tra queste due realtà c’è un mondo di esperienze intermedie che danno un’indicazione chiara alla discussione: il futuro è probabilmente nell’ibridazione dei due modelli. Il mestiere del giornalista non sembra essere destinato all’estinzione profetizzata da molti, ma più semplicemente a una ricalibratura del proprio ruolo all’interno dell’arena mediatica. Non più “giornalismo come lezione” ma “giornalismo come conversazione”, in cui tenere conto dell’opinione e del contributo informativo dei lettori, senza che venga meno la funzione di controllo esercitata dal giornalista.

Quanto descritto non è altro che il giornalismo partecipativo, ovvero la produzione di notizie realizzata con la convergenza di esperienze professionali e amatoriali, allo scopo di ottenere una maggior copertura informativa appoggiandosi alla società civile. In questo quadro teorico si inserisce l’esperienza di PeaceReporter, testata nata nel 2003 da un’idea dell’organizzazione umanitaria Emergency e dell’agenzia giornalistica MISNA (Missionary International Service News Agency). Il quotidiano online e l’omonimo mensile cartaceo trattano temi internazionali, dall’economia alla cronaca, dalla politica alla cultura, e si caratterizzano per la linea editoriale contraria a ogni forma di guerra. La testata si avvale di una redazione di giornalisti professionisti combinata a una vasta rete di contatti in tutto il mondo, incarnando così il modello ibrido di giornalismo partecipativo che affianca competenza professionale e testimonianze provenienti da personale non giornalistico.

Anche attraverso l’esempio di PeaceReporter, con il presente lavoro si intende dimostrare che la via da percorrere per il giornalismo del futuro sarà proprio quella della cooperazione tra professionisti e dilettanti dell’informazione. Perché la Rete è uno strumento formidabile di democrazia dal basso, ma come ogni strumento, non contiene in sé il proprio scopo. Al massimo può indicare la via, avendo inscritte nel proprio DNA alcune potenzialità piuttosto che altre. Ma più di questo non può fare: basti pensare che era nata per scopi militari e ora serve le finalità più disparate. Per cui, se è vero che ogni forma di democrazia dal basso contiene in sé il germe del populismo, anche in Rete sono necessari alcuni punti di riferimento. Non più, o non solo, l’informazione mainstream con il suo carattere uniformante da old media. Ma comunque qualcosa di solido su cui costruire. E qui entra il gioco il giornalista professionista, con il suo bagaglio di esperienza, competenza ed etica professionale, che devono guidarlo nello svolgimento del suo compito. Con l’importante variazione rispetto al passato del giudizio diretto del pubblico, che può approfondire la notizia fornita dal giornalista, commentarla, contestarla, avviando così quel dibattito sulle idee che è la base di ogni sana società democratica.

Nel dettaglio, il Capitolo 1 tratterà del concetto di giornalismo partecipativo nelle sue diverse forme teoriche e pratiche, del suo rapporto con i media tradizionali, delle sue radici passate e prospettive future. Il Capitolo 2 consisterà in una panoramica sulle esperienze concrete in materia, spaziando dalle realtà italiane a quelle internazionali, con particolare riferimento al contesto statunitense, come spesso accade all’avanguardia in materia di media e giornalismo. Infine con il Capitolo 3 osserveremo da vicino PeaceReporter, esempio emblematico di giornalismo partecipativo nel nostro Paese.

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