Luca Rasponi

Giornalista e addetto stampa, scrivo per lavoro e per passione.

Baronciani, i fumetti e il tempo della vita

13 dicembre 2013

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«Nei film non viene mai mostrata la vita quotidiana, sono raccontanti solo i momenti in cui succede qualcosa. Ma la vita non è così, nella vita non succede niente, anzi quando succede tu sei da un’altra parte. Io nei miei fumetti provo a raccontare questo tipo di tempo, il tempo in cui non succede niente. E guarda caso quando racconti il tempo in cui non succede niente viene sempre fuori una storia».

Alessandro Baronciani, nato a Pesaro nel 1974, è autore di fumetti, art director, illustratore e grafico pubblicitario. Il suo esordio nel mondo delle vignette risale ai primi anni novanta, con modalità di distribuzione del tutto originali diventate un vero e proprio caso editoriale nel panorama del fumetto indipendente italiano.

Appena maggiorenne, infatti, Baronciani non cerca una casa editrice per pubblicare i suoi primi racconti, ma sceglie di spedirli per posta a chi si abbona contando sull’effetto passaparola. I risultati di quella prima, straordinaria stagione della carriera fumettistica di Baronciani sono stati raccolti e pubblicati recentemente da Bao Publishing, insieme a materiale prodotto negli anni successivi, con il titolo Baronciani Raccolta 1992-2012 (2013).

L’autore ha presentato il volume lo scorso 7 novembre al Circolo dei Malfattori di Poggio Berni (Rimini), nell’ambito della rassegna Fumettincircolo organizzata da Master Comix di Santarcangelo di Romagna. Nel corso di un racconto esaustivo e interessante, Baronciani ha ricostruito gli inizi della sua carriera a partire dalle principali fonti d’ispirazione che lo hanno indotto a tentare l’avventura del fumetto.

Due su tutte le novità che strabiliarono il giovane Baronciani, dando una vera e propria scossa al mercato fumettistico italiano: Dylan Dog di Tiziano Sclavi (1986), con la sua carica di orrore, erotismo e mistero, e i primi manga pubblicati nel nostro Paese, da Ken il Guerriero di Buronson e Tetsuo Hara a Crying Freeman di Kazuo Koike e Ryoichi Ikegami, fino al capolavoro di Katsuhiro Ōtomo, Akira.

L’arrivo dei fumetti giapponesi nelle edicole italiane, secondo Baronciani, cambia il mondo: se Dylan Dog era stato una bomba, la pubblicazione dei primi manga da parte di Granata Press e Star Comics dà una brusca accelerazione all’idea stessa di fumetto, facendo sembrare “lento” tutto ciò che si poteva trovare in edicola fino a qualche anno prima.

Il percorso di Baronciani è completato dall’apertura della prima fumetteria di Pesaro e soprattutto dalla pubblicazione della rivista Mondo Naif (Star Comics, poi Kappa Edizioni), che presenta «storie ambientate non a New York ma a Bologna, storie dove non succedeva niente, dove si parlava di ragazzi che somigliavano a me. Mi sembrava una buona idea – racconta Baronciani – la prova che i fumetti potevano essere fatti in un’altra maniera» rispetto alla tradizione bonelliana o alla spettacolarità dei nuovi manga.

«Fare i fumetti era diventato possibile: esisteva un modo nuovo per raccontare le cose, presentando storie che riguardavano noi». Oltre alla novità tematica, i fumetti pubblicati su Mondo Naif permettono a Baronciani di superare anche le difficoltà legate alla realizzazione grafica delle classiche storie d’avventura o d’azione: «A diciott’anni l’unica cosa che sapevo disegnare erano le auto, le case, i giardini, le cose che avevo intorno e potevo vedere con i miei occhi».

«Quindi ho cominciato a disegnare queste cose quasi senza rendermene conto, provando a raccontare cose complicate come la mia vita da adolescente, cose che probabilmente facevo più fatica a raccontare rispetto ad altre – per quanto a nessun fumettista manchi un po’ di sano egocentrismo».

Dopo aver iniziato a disegnare e scrivere i suoi primi fumetti, ecco il problema della distribuzione: «Non avendo intorno persone interessate a quello che facevo, mi sono inventato questa cosa dell’abbonamento: alle persone che incontravo ai festival chiedevo l’indirizzo e proponevo un abbonamento di quattro numero al costo di diecimila lire».

L’operazione ha successo: «Così facendo sono comparse le prime recensioni su riviste specializzate e non, e dopo l’inizio con gli amici di Pesaro arrivavano lettere da Bologna, Torino, Udine, Bari…». Nel giro di un anno e mezzo Baronciani raggiunge quota 150 abbonati, poi diventati 300, ed è costretto ad abbandonare le semplici fotocopie per passare alla stampa in tipografia.

Il nuovo punto di svolta arriva grazie alla lettera di un abbonato, che sceglie di raccontare al fumettista la propria storia. Sorpreso e lusingato, Baronciani decide di «prendere le storie di chi mi scriveva e raccontarle fino a creare una grande storia. Il risultato è il contenuto di Raccolta 1992-2012, dove sono presenti tutte le storie ricevute per posta, più materiale prodotto da me. Un periodo difficile da raccontare, se non a fumetti».

Il successo di questa brillante iniziativa offre a Baronciani la possibilità di pubblicare le sue storie anche nel circuito dell’editoria tradizionale: nel 2008 Black Velvet dà alle stampe Una storia a fumetti, che raccoglie i successivi lavori che l’autore spedisce ai suoi abbonati e che – anche in questo caso – compongono un mosaico narrativo intimo e coinvolgente.

Proprio questa è una delle caratteristiche principali dell’opera di Baronciani, in grado di coinvolgere il lettore in un racconto cadenzato, capace di ricalcare i tempi lenti dell’anima e della riflessione interiore. Al centro della narrazione sono presenti con forza i sentimenti dei protagonisti, da quelli più banali e quotidiani alle emozioni più trascinanti e significative, positive ma anche negative.

La particolarità delle opere del fumettista pesarese, in ogni caso, è legata principalmente alle modalità del racconto. «Ci sono tanti modi per raccontare le storie», spiega l’autore. «Quello tradizionale rispetta le unità narrative aristoteliche o le cinque W giornalistiche», ma i racconti di Baronciani non seguono queste coordinate: «a me interessa invece raccontare le storie esplorando gli spazi apparentemente vuoti che si creano tra questi punti di riferimento».

Questo perché «se due persone fanno la stessa cosa è probabile che la vivano in maniera diversa, perché ognuno ha una propria visione della realtà. Allora forse è più importante raccontare dei punti di vista, piuttosto che la realtà esteriore, che tutti sono in grado di riprodurre». Conseguenza diretta di questo approccio è l’assenza di una conclusione vera e propria nei racconti di Baronciani: «Io non arrivo mai alla conclusione… perché la conclusione è una cosa mia, non ha a che vedere con la storia in quanto tale. È come se io dicessi al lettore: “Hai notato questo particolare?”».

Questa caratteristica accomuna tutte le storie di Baronciani, compresi i due volumi usciti ancora per Black Velvet dopo Una storia a fumetti: Le ragazze nello studio di Munari (2010) è il racconto della movimentata vita sentimentale di Fabio, titolare di un negozio di libri antichi a Milano e appassionato dell’opera di Bruno Munari (anche in questo caso, lo spunto per la scrittura del volume è arrivata a Baronciani da un lettore). Quando tutto diventò blu (2011) racconta invece le vicissitudini di una ragazza – mai chiamata per nome nel corso della narrazione – che affronta con grande sofferenza il problema degli attacchi di panico.

Un ruolo centrale nella narrativa di Baronciani, in particolare nei due racconti appena citati, spetta agli oggetti: la presenza costante dei libri – che diventa persino fisica – in Le ragazze nello studio di Munari e dei medicinali in Quando tutto diventò blu riflette la convinzione dell’autore che «l’ambiente intorno al racconto dice molto di più di quello che riesce a esprimere la storia attraverso i soli personaggi».

Accostare elementi apparentemente marginali che spesso lasciano intuire una storia, senza raccontarla per intero, è il modo scelto da Baronciani per scrivere le sue storie a fumetti. «Soprattutto nella Raccolta c’è un tentativo di arrivare al limite massimo del racconto, di assottigliarlo fino a renderlo quasi impercettibile. Un filo solo basta per far capire una situazione, un atteggiamento», per coinvolgere ed emozionare il lettore.

Perché le storie di Baronciani sono storie quotidiane, che riescono a parlare a tutti, riportando alla mente ricordi e sentimenti in modo imprevisto e intrigante, a testimonianza di tutto il potere evocativo che può avere una semplice storia a fumetti.

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